lunedì 21 aprile 2014

Voglio star male, ma non si può

Voglio star male, ma non si può.
Non puoi nemmeno arrabbiarti. Non puoi più spaventarti, intristirti, schifarti. 
Sorridere si, sempre, ma quando si tratta di star male, scatta un allarme, tutti si preoccupano: come? non sei felice? cosa devo darti? cosa devo venderti? cosa vuoi vedere? Ecco ecco tieni. Adesso? Sei felice? E fammi un sorriso! 

La felicità becera.
"So briaco e so felice, anche se poi vomito"
Ammazzi il tempo per non ammazzare te stesso; ma se ti mostri triste per più di quel tempo che ti è concesso allora diventi depresso.
Se ti mostri arrabbiato per più di quel tempo che ti viene tollerato, allora sei violento. 
Se ti mostri schifato per più di quel tempo che ti viene accordato, allora sei ossessionato. 

E perché non vale il contrario? 
Perché non sei un ebete se ridi più di quanto ti è concesso?
"Perché la felicità non ha scadenza, si può ridere sempre".
Allora meglio depresso, meglio violento, meglio ossessionato.

Se sei felice, allora i tuoi bisogni son soddisfatti. Sei normale. 
Se non sei felice... beh, è impossibile che tu non sia felice. In questo mondo puoi soddisfare ogni bisogno.
"No cazzo! Non tutti!"
"E cosa ti mancherà mai?"
"Il bisogno di star male. Il bisogno di piangere, di imprecare, di starmene con i miei fantasmi cattivi, non solo con le vostre fatine del cazzo, sempre sorridenti e depilate. Voglio star male, ma non si può."
"Certo che puoi, ma non puoi stare con noi!"

Peggio dei cani che si allontanano per morire,
noi ci nascondiamo, per piangere.

domenica 20 aprile 2014

L'inversione di Andromaca



Il mio inquilino ci ha preso gusto


Andromaca cara,
Ti aspetto e ti ardo.

Persi lo smalto dopo quella vicenda, dove sconfissi il mostro e vincemmo la guerra. Rimasi menomato, affranto ma felicemente pieno del nostro piccolo focolare.
Non immaginavo però che davanti al camino dovessi stare sempre io, ad alimentare un fuoco sempre un attimo prima che si bruci.
Sorte vuole che mia corazza è la pazienza, mio scudo l'ironia. Condividere lo stesso talamo e non le stesse vite...

Guarda: può starmi anche bene se fai il tuo bene. Rimani incorruttibile così come sei e noi saremo incorruttibili insieme.
Ti aspetto e ti ardo.
Tuo.

lunedì 14 aprile 2014

Il compromesso del caffè


Con questo post ospito un amico nella mia Isola.
Non è che mi sentissi solo, 
ma nelle isole dopo un po' ci si annoia.



Uno dei cambiamenti più radicali che il passaggio all'università aveva comportato nei suoi primi periodi è stato il rito della colazione, gentilmente offerto dal padre di famiglia nel tentativo che quel rito diventasse collante tra i suoi componenti.
Ne riusciva un pasto copioso di cereali, ricolma la tazza ben oltre la soglia, come quei vulcani che spuntano dagli oceani.
Immerso in questa liturgia dell'emersione del cereale, per tanto tempo ho trascurato che il bianco fosse marrone. In fondo a me era solo una questione di gusti.
“Ce lo metto il caffè?” fu una domanda che dopo pochissimo chiamò una risposta implicita. La nozione di avere avanti una tazza di caffellatte si perse alle preoccupazioni ritardatarie di ogni mattina. Ecco quando si dice il potere del default, è sempre stato così.
D'un tratto a metà triennale mi decisi di smetterla col caffè essendo sostanza stimolante e sentendomi imbrogliare sui miei tempi naturali. Da lì in poi fu uno strazio proseguire gli studi, anche successivamente alla laurea.
Presi una botta pesante superiore ai limiti consentiti subito dopo la laurea triennale. Preparai il primo esame della magistrale con un compagno di studi infaticabile, chiusi le ferie invernali nel suo bunker personale. Lì il caffè sgorgava dai thermos e la preparazione dell'esame era militare, come se fosse l'ultimo.
Ci spesi così tante energie che ancora ne subisco gli effetti. All'attivo mi ritrovo davvero pochi esami e solo a breve proverò a varcare la soglia di metà percorso. Certo, tante cause si ritrovano nell'essermi promesso una pausa che in realtà si è rivelata essere una corsa in altre cose, come la solidarietà politica ai compagni di lotte e di venture, o come gli affetti in cui non ho potuto oppure voluto investire ma a cui ho comunque dedicato tempo considerevole.
È stato un periodo umiliante, su tutti addormentarsi alle lezioni non perché poco interessato, ma troppo, perché a un certo punto il cervello mi partiva e cominciava nel suo viaggio di analogie... oniriche. Il massimo ci fu con un corso di matematica in cui eravamo in due a seguire e metà classe si addormentava. Ringrazio la delicatezza dei compagni tutti di tenere per sé e solo tra di loro quei facili commentini sulla condizione di un uomo perennemente in conflitto tra il fare e il riposare.

Ripresi col caffè per uscire da questo inferno viola di mortificazioni. Un suo effetto l'ha avuto ma molto meno di quanto sperato. Il mio organismo subiva già gli effetti dell'assuefazione per cui non è che questa bevanda avesse tutti questi poteri eccezionali. Da quand'era diventata una seconda possibilità divenne un'abitudine saltuaria e aperiodica, una sorta di auto-convincimento che mi aiutasse a rimanere sveglio.

Bene, gli ultimi due giorni sono stati avvilenti. Un fine-settimana, quindi privo di lezioni (ormai non me ne vergogno nemmeno più), tutto nello spazio studio alla mensa di Sant'Apollonia. Come ho passato il tempo? Per la stragrande maggioranza a dormire in posizioni scomodissime sulle mie stesse braccia, tale da lasciare il segno di una testa pesante e non far passare il sangue alle appendici: perfino le mani addormentate!

Nei miei viaggi spesso troppo inerenti all'argomento che ascolto o leggo (riesco ad anticipare quello che sento o vedo) sto fabbricando il mio sogno.
Il mio sogno è che tutti abbiamo i propri tempi nel fare le proprie cose, e che non esista una imposizione alta e tragica per cui bisogna adeguarsi allo standard. Il mito della produttività e della velocità ci ha spappolato il cervello, bisogna fare tutto in fretta e al meglio altrimenti siamo fuori mercato. Beh, probabilmente il mercato è di fuori se una popolazione è costretta a drogarsi per sostenere i suoi ritmi.

Mannaggia il sistema e tutti i suoi servi.


P.S.
Tutti adesso si chiederanno come faccio a fare tante cose. È solo una questione di allenamento, di quello fatto nella spensierata vita precedente senza caffè e mostra talvolta il suo barlume. Come quando scrivi un post alle quattro di notte con un ndv, un lab, un dip, un flirt e un odg alla cds Salvemini a fine serata.

AGGIORNAMENTO


In Nucleo ci sono stato molto più del dovuto, non abbiamo potuto cominciare in tempo per vicissitudini straordinarie che hanno fatto tardare i membri e il numero legale. Una persona chiave che aveva condotto il lavoro sull'attivazione dei corsi di dottorato (forse l'unico punto su cui valeva esserci) ha fatto ancora più tardi. Salta così ogni possibilità di laboratorio di EPR.
Arrivo al Polo Scientifico di Sesto, incontro gli altri, si comincia a parlare in emergenza del Consiglio di Dipartimento successivo, MA mi accorgo di aver dimenticato l'alimentatore del portatile. Salta così ogni possibilità di Consiglio (forse poco male per com'era stato organizzato) e di flirt (male a prescindere).








venerdì 11 aprile 2014

Conosco un ladro di momenti

Un amico mi ha confidato un segreto. Mi ha detto che osservare le persone che si guardano allo specchio è uno spettacolo unico.
Il problema è che si tratta di una roba pericolosa.
Avete presente certamente i bagni di qualche struttura pubblica o dei grandi uffici: tanti gabinetti, grandi specchi.
Ecco, lui va in bagno, si siede sul cesso e da un buco osserva le persone che davanti allo specchio si lavano le mani dopo aver fatto le loro cose.
E vede delle cose magnifiche. Quel buco è un portale per l'intimità degli altri. Ma non quella che pensate voi. Non li spia mentre sono dentro il gabinetto. Li spia mentre stanno davanti allo specchio.
Si toccano, si sistemano. Provano espressioni facciali che altrove non metterebbero in mostra. È un salotto esclusivo e lo show è lo strano rapporto tra l'uomo e la sua immagine.
C'è chi si prova e riprova gli occhiali.
Chi si strizza brufoli.
Chi accenna un sorriso per vedere come gli sta.
Chi prova un'espressione da macio o da pesce lesso improponibile.
Ma la cosa più spettacolare è che un attimo prima di andar via tutti tornano alla propria vita, alla propria immagine, come se quella fosse stata loro assegnata tanto tempo fa.
Sono tutti clown che per un attimo si tolgono il naso rosso, poi se lo rimettono e si ributtano nella mischia.
Sente di conoscerli tutti, meglio di chiunque altro, perché li ha visti in un loro momento, ma che non era solo loro, era anche suo.
E' un ladro di momenti.

A quel punto il mio amico esce. Non resiste alla tentazione e ripropone le stesse pose, le stesse espressioni. Prima di tornare fuori si accerta che nessuno stia spiando lui, a sua volta: siamo pronti ad andare nell'abisso degli altri, ma non ad accogliere gli altri nel nostro.
Domani altro spettacolo. Un'altra anima con il suo naso rosso. E chissà se qualcuno domani non si metta addirittura a parlare con quello specchio. 

Ps. Non è pericoloso. E' solo curioso. 

martedì 8 aprile 2014

La notizia del disturbo da selfie è falsa. Tutto il resto è vero e spaventoso.

Un fake che ha tratto in inganno molti, me compreso.
Gli articoli che richiamavano l'attenzione intorno alla patologizzazione da parte dell'APA della tendenza (più o meno cronica) a scattarsi foto e caricarle sui social network (selfie) altro non farebbero che riportare una notizia assolutamente falsa.

L'APA non ha patologizzato la tendenza dei selfie e non ha inventato alcuna scala per decretare la gravità del disturbo.

Le prove della falsità della cosa sono facilmente rintracciabili: basta andare nei siti ufficiale delle APA (American Psychiatric Association e American Psychological Association) e si noteranno alcuni particolari piuttosto eloquenti. Il primo è che le associazioni professionali non si riuniscono e non rivedono il "catalogo" dei disturbi ogni giorno, anzi, generalmente lo fanno ogni cinque anni. Il secondo è abbastanza intuitivo: provate a scrivere "selfie" sulla casella di ricerca dei due siti e vedrete che non troverete assolutamente nulla.


Figlio di poca consapevolezza e della cultura della notizia calda, questo errore altro non è che un'ulteriore prova del fatto che ancora, intorno al concetto di malattia o disturbo mentale, non solo il mondo dei potenziali utenti, ma anche quello dei media, risponde in maniera approssimativa e superficiale.
La cosa ancora più grave è che alla notizia falsa, molti hanno commentato "finalmente", "me ne ero accorto anch'io", "andate tutti a farvi fare una terapia cognitivo-comportamentale", scordando di fatto che se la notizia fosse stata vera, non ci sarebbe stato alcunché da essere contenti.

Tutti si mostrano nella vita reale e digitale come unici, come le pecore nere e come quelli che non si piegano all'omologazione. Paradossalmente nel post successivo del proprio diario Facebook in tanti si sentono sollevati dalla notizia della patologizzazione dei selfie. A quel punto l'APA dovrebbe patologizzare questa tendenza all'incoerenza, e altri ancora a quel punto si sentirebbero compiaciuti. E via, e via.

La questione dei selfie è sicuramente una bufala, ma chi un minimo mastica il linguaggio psichiatrico riconosce l'eccessiva tendenza di un manuale diagnostico come il DSM a creare etichette, a considerare l'individuo come privo di un contesto personale e unico ed a considerare anormali comportamenti lontani dalla normalità, altro concetto di cui ancora oggi continuiamo ad abusare con una leggerezza spaventosa.
L'educazione alla diversità, alla normalità e alle innumerevoli forme che il comportamento umano può assumere rappresenta un tassello, a mio avviso fondamentale, che manca nel repertorio culturale dell'individuo.
Il fantasma della curva normale.  

L'APA non ha patologizzato i selfie, ma la figuraccia di fronte ad una notizia fortunatamente falsa, siamo riusciti a farla ugualmente. I social network troppo spesso si configurano davvero come il muro di un cesso pubblico, dove ognuno scrive quello che vuole o dà aria alla bocca solo perché ne possiede una. Allora mi chiedo, siamo normali?