E' il 14 giugno. Uno studente della Scuola, prima Facoltà, di Psicologia di Firenze sta studiando per il prossimo esame. Il testo in questione è "Analisi della domanda" di Carli e Paniccia (2003). La pagina è la 56, la questione qui considerata prosegue anche nella 57 (ma questo particolare non cambia lo stato delle cose, cit.).L'esame in questione è colloquio clinico.
Non si capisce quanto possa essere un esempio quello che quello studente qui sta per citare, o se si tratta di "una storia realmente accaduta e mai cambiata"; il fatto è che ciò che segue è sempre stato un ronzio fastidioso per quello studente e i suoi facinorosi compagni.
L'evidenziatore giallo la fa da padrone. Se proprio non ne volete parlare, almeno fate l'"in bocca al lupo" a quello studente.
“Siamo all’università. In una
facoltà di psicologia. Pensiamo alla tipica situazione di apprendimento a
scuola: l’insegnante fa lezione, conduce o organizza seminari e laboratori, ed
al contempo esamina gli studenti alla fine dell’anno accademico per verificarne
la preparazione. Ogni insegnante conduce il corso sulla base dei suoi interessi
e della sua esperienza formativa e professionale. Manca un coordinamento tra
insegnamenti, che crei un’interazione pianificata tra i vari corsi di lezione,
tra esperienze seminariali e pratiche, al fine di garantire una formazione
professionalizzante degli studenti. Questa carenza di coordinamento della
didattica è ben radicata nella cultura della facoltà: non è condivisa, tra gli
insegnanti, una vision della professione di psicologo a cui la facoltà stessa
dovrebbe preparare. Molti insegnanti non hanno mai esercitato la professione di
psicologo, alcuni sono completamente disinteressati alla figura professionale
che dovrebbero concorrere a formare. Si realizza così un sistema formativo per
sommatoria: ogni insegnante persegue un suo specifico e personale obiettivo
formativo, non integrato con quello dei colleghi, nella convinzione che
ciascuno possa vivere e operare in un mondo a parte, scisso da quello in cui ciascuno
altro opera, magari sotto l’ombrello dell’autonomia didattica. Starà, nel
migliore dei casi, agli studenti cercare un senso in quello che stanno
apprendendo, in uno sforzo integrativo che, comunque, difficilmente condurrà ad
una preparazione professionalizzante.”
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