Elisa Mencacci, oltre che un'amica, è anche una psicologa riuscita non solo a trovare un impiego attinente al proprio percorso di studi, ma anche ad aprire un progetto di cui è presidente. Ho voluto porle alcune domande sulla sua formazione, sulla sua professione e la sua esperienza.
Innanzitutto complimenti: di questi tempi ci vuole coraggio ad aprire un progetto di stampo psicologico con poche risorse a disposizione. Ma in particolare di cosa ti occupi?
Grazie! I progetti che ho avviato sono molteplici, ma quello che sicuramente mi ha permesso di confrontarmi “direttamente” con vari aspetti della professione “Psicologo a 360 gradi” è stato l’avvio e lo sviluppo di Amcn Onlus, un’Associazione di Psicologi Professionisti di cui sono, con orgoglio da quasi un anno, Presidente.
L’associazione rappresenta una vera novità ed è caratterizzata da forte specializzazione, in quanto si occupa di cure palliative ed accompagnamento psicologico alla malattia cronica neurodegenerativa, un tema ancora poco trattato in Italia. Ci occupiamo quindi di fine vita, malattie terminali e croniche, lutto anticipatorio e lutto “classico”, cure palliative per non oncologici..di psicotanatologia, di morte e di morire, non solo per i malati ma per tutti coloro che ci hanno a che fare (familiari, caregivers, operatori, volontari, ecc.). Partendo da tutto questo, quello di cui mi occupo personalmente, come dicevo, concerne aspetti strettamente psicologici e clinici quali consulenza psicologica, gruppi di sostegno, gruppi di auto mutuo aiuto, ma anche di conferenze e convegni, formazione, progettazione, ricerca. In quanto Presidente poi, mi occupo anche di quello che riguarda la comunicazione, la raccolta fondi, il marketing e la pubblicità, le relazioni e le collaborazioni con professionisti, con enti pubblici e privati, insomma..aspetti complessi e nuovi, di cui prima della laurea non sapevo granché!
Qual è
l’aspetto della tua formazione che più si è rivelato prezioso per il tuo ruolo
da professionista?
Sicuramente una base clinica è stata
fondamentale ma, per quello che faccio adesso, l’aspetto più importante è stato
sicuramente il saper fare e sviluppare progetti, cosa che, purtroppo, ho
imparato solo nel post-lauream.
Quali sono
le difficoltà maggiori che incontri nella quotidianità professionale?
Le difficoltà sono innanzitutto
culturali: le persone fanno fatica a “capire” di cosa ci occupiamo, in primis
come psicologi, poi come esperti e professionisti nell’ambito della
psicotanatologia e delle cure palliative. C’è molta resistenza ed ignoranza,
poca informazione, un gran lavoro da fare per sensibilizzare e promuovere
costantemente la mia professionalità. Dopo, sicuramente la mancanza di fondi e
di impegni economici necessari da parte degli enti in questo settore e,più in
generale, nel sociale.
Quanto
secondo te una laurea in psicologia è spendibile all’interno del mercato del
lavoro? E se ci sono delle difficoltà, quali sono?
A mio personale avviso, a differenza
di quanto si possa pensare, la laurea in psicologia, oggi, può ed è spendibile.
I bisogni ed i contesti di intervento sono molteplici, ed uno psicologo può
davvero fare molto. Le difficoltà credo che siano nella mancanza di
informazione e formazione del giovane neolaureato, il quale pensa che ci sia
solo “psicoterapia” e lavoro individuale di tipo “competitivo”. In realtà,
collaborando tra di noi e con gli altri professionisti, aprendocii ad aspetti
diversi e trasversali del nostro ruolo, progettando ed essendo creativi, ci
sono davvero tante prospettive interessanti!
Bhè, come ti dicevo ci sono grandi
barriere da superare, soprattutto di tipo culturale. Si pensa che gli utenti
sappiano cosa sia uno psicologo ma in realtà c’è molta confusione, fattore che
tende ad allontanarli e a lasciar lontani da noi tutti coloro che ancora vedono
lo psicologo come colui che “ cura le malattie della mente”. Hanno timore di
sentirsi “malati”, o addirittura pensano che gli darai qualche medicina. Gli
utenti spesso hanno solo bisogno di chiarezza e informazioni, ma questo
presuppone che lo stesso professionista abbia chiaro cosa sia, cosa possa e non
possa fare, quali sono i suoi ambiti e competenze specifiche. Spesso, sono gli
stessi psicologi ad essere confusi!
L’assetto
formativo universitario attuale garantisce una preparazione completa? Se no, in
quali aspetti ritieni che dovrebbe essere modificato?
Decisamente no! Mancano degli aspetti
“applicativi” fondamentali che, qualora vengano trattati, rimangono vincolati
all’aspetto teorico e non contestualizzati. Tra gli aspetti da modificare,
certamente la parte sulla progettazione sociale, sulla comunicazione e sulla
gestione del gruppo di lavoro, sugli aspetti fiscali ed economici, sul
marketing e l’autopromozione, sulla consulenza applicata ai vari settori e con
i nuovi media, sulla psicologia applicata a tutto tondo, in particolar modo lo
sviluppo di progettualità con gli altri professionisti socio-sanitari e non, la
valutazione e gli strumenti di progettualità, la progettualità europea e le
collaborazioni con enti. Per questi ultimi aspetti, sarebbe auspicabile
introdurre stage obbligatori in azienda, o all’estero o con professionisti di
settore.
Emergono
sempre più opinioni contrastanti sulla direzione che la professione di
psicologo sta prendendo. Molti la danno per spacciata, perché mal integrata con
il mercato del lavoro, altri non ritengono ci siano particolari criticità nello
stato attuale delle cose. Tu cosa pensi?
Come accennavo prima, il mercato del
lavoro c’è ed è ricco di prospettive interessanti per la nostra professione ma
il problema è innanzitutto formativo. Se almeno l’Università riuscisse a
trasmettere la trasversalità e l’applicabilità delle nostre competenze, questo
sarebbe molto più facile.
Ritengo che il cambiamento sia da
promuovere nello Psicologo in primis, il quale deve riuscire a comprendere che
i tempi presuppongono un ridimensionamento del nostro ruolo. Non c’è più lo psicologo-psicoterapeuta
che sta in studio ad aspettare il cliente. Adesso è lo psicologo ad “andare
verso” il cliente potenziale, che deve proporre, creare, progettare, sviluppare
nuove idee, fare rete, promuovere competenze, andare concretamente dove c’è
bisogno: assistenziale ma anche formativo, di consulenza, di ricerca, di tipo
progettuale, imprenditoriale, culturale.
La nostra professione è complessa e
presuppone solide basi formative, capacità e competenze relazionali ma anche
specialistiche di settore e,soprattutto, tanta determinazione. Oggi più che mai
è difficile, ma con forza e competenza si può fare molto. Occorre prima di
tutto studiare, conoscere, sapere. Ma non con master, scuole di
specializzazione o almeno non solo con quelli: studiare ogni giorno,
aggiornarsi e informarsi, comunicare tra professionisti. Il sapere e d il saper
fare, come bene sappiamo, sono il coronamento al saper essere che è
indispensabile per essere un buon professionista.
Per farlo, occorre prima di tutto
credere in stessi, in quello che si fa ed in quello che siamo.
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